Il Nettuno di piazza Tommaseo

Un signore distinto, con capello e bastone, ci racconta che l’ultima volta l’aveva visto in occasione dell’inaugurazione del monumento al generale Belgrano. Ma andiamo a vedere cosa accadde quel giorno in piazza Tommaseo.

Il 12 ottobre del 1927 tutto corso Buenos Ayres e piazza Tommaseo erano decorati con festoni d’alloro e pavesati di bandiere. Il re, le autorità, i militari italiani ed argentini e migliaia di genovesi erano tutti lì per la statua di Belgrano. Il quotidiano Il Lavoro, come gli altri giornali cittadini, il giorno dopo dedicava tutta la sua prima pagina all’avvenimento: “Le rappresentanze delle diverse Associazioni hanno preso posto sopra i terrazzi di fianco alla gradinata. Sull’esedra di via Francesco Pozzo, decorata con quattro enormi arazzi purpurei, sono riunite parecchie migliaia di persone di cittadini, e folla si assiepa dovunque affacciata alle ringhiere della strada che conduce ad Albaro e dominante dall’alto Piazza Tommaseo. Tutti i terrazzi delle case sono trasformati in tribune, ove una folla stragrande di spettatori assiste alla cerimonia”. Per Lui invece neanche una misera riga.

La folla stragrande di spettatori ora ammirava il generale Belgrano e Lui, seduto nella sua fontana, ne vedeva solo il didietro e soprattutto vedeva, quello enorme, del cavallo… Quale onta per un Dio. Nettuno era, prima di quel giorno fatidico, l’unico personaggio ad essere ammirato a Tommaseo, l’unica piazza di Genova ad avere ben due fontane!

Lui era su quella di sinistra, venendo da corso Buenos Aires, ora si direbbe “guardando il monumento del generale argentino”, ma siamo certi che quest’ultima spiegazione a Lui non piacerebbe.

Nella sera stessa della cerimonia poi, non vi dico che confusione nella Sua piazza. Le bande cittadine suonavano senza sosta, soprattutto gli inni nazionali, quello argentino e la Marcia Reale. Le bandiere sventolavano al vento, le luci la illuminavano tutta e due riflettori incrociavano le loro luci cangianti sull’imponente Monumento equestre con efficaci effetti cromatici.

Piazza Tommaseo e corso Buenos Aires illuminate

I cittadini genovesi fraternizzavano con i marinai della flotta argentina e a Lui non restava che guardare. Guardava soprattutto i marinai, quei marinai che, beati loro, potevano solcare il mare, il suo mare!

Guardando e riguardando diverse fotografie, scattate negli anni successivi, Belgrano sul suo cavallo è sempre presente al centro della piazza, ma di Lui nessuna traccia. A dir la verità è impossibile dirlo con certezza, visto che c’è sempre qualcosa a nasconderlo: un albero, un tram, un autobus. Comunque sono poche le foto che lo ritraggono seduto nella Sua piazza.

“c’è sempre qualcosa a nasconderlo: un albero, un tram, un autobus.”
Una delle poche foto dove si vede il Nettuno

A proposito di questa piazza ci sono diverse notizie, alcune anche interessanti. Rileggendo i vecchi quotidiani troviamo che Il Lavoro del 14 gennaio 1912 riprende una notizia del Corriere Mercantile del giorno prima: “Da piazza Tommaseo si diparte il nuovo tronco di strada che sale a San Francesco d’Albaro e sostituisce per buon tratto la vecchia salita. Sulla nuova strada dovrebbe passare anche il tram elettrico. Adesso si assicura che il grande muraglione decorato di statue e fontane, che sorregge la strada stessa, avrebbe dato segni di cedimento e minaccerebbe rovina. Ciò anche per causa delle soprastrutture onde è stato gravato.” Decorato di statue e fontane? Allora il nostro Nettuno non era solo. Forse era in compagnia di una sirena? Ma dalle foto scattate il giorno dell’inaugurazione si può vedere che l’altra vasca era vuota. Lei era già scappata o fatta sparire tempo prima?

Due persone, incontrate in piazza Tommaseo, ci hanno detto qualcosa in merito: «Nettuno era ancora seduto sulla fontana, anni dopo l’inaugurazione del monumento», dice una ragazza, tale Francesca di via Caffa. «Anche io mi ricordo», gli fa eco un pipelè di uno stabile, che si affaccia sulla piazza: «Ma mi hanno anche riferito, alcuni miei condòmini, che Nettuno, approfittando della confusione che regnava in quel giorno, scappò via per raggiungere la spiaggia di San Giuliano e ritornare nel suo mare».

Che sia scappato per raggiungere la sirena? Il motivo della sua scomparsa non è certo. Ma andiamo ora a sentire nel dettaglio quello che ci ha da dire Battista, questo pipelè. È arenbòu all’entrata del suo stabile, e da buon portinaio, non si fa pregare per raccontarci quello che ha sentito dire anni addietro.

«Quella notte il Nettuno meditava e meditava quando scappare. Già il 27 aprile del 1925 aveva iniziato a prendere in considerazione la fuga da piazza Tommaseo. Quel giorno se lo ricorderà anche lei…», Battista si ferma, mi guarda fisso negli occhi, come chiedermi conferma del fatto, poi continua: «era arrivato addirittura il Re per la cerimonia della posa della prima pietra e Nettuno aveva capito che per lui le cose sarebbero cambiate. Doveva scappare. In che modo scappare non era certo un problema per lui». Con una mano mi indica un tombino dell’acquedotto marino: «Bastava infilarsi qui sotto».

Il tombino in piazza Tommaseo

Mi scusi, ma nelle tubature dell’Acquedotto Marino? Ma come ci fa a passare un individuo così grosso?

«Beh, si tratta comunque sempre di un Dio e poi poteva contare sull’aiuto di un esperto come il nostro Giano», ammicca accendendosi un sigaro.

Una parte del percorso dell’Acquedotto Marino. (A impianto di presa – B serbatoio)

Sì, certo il nostro pipelè ha ragione, chi meglio di Giano, che è il custode di ogni forma di passaggio e mutamento, protettore di tutto ciò che riguarda un inizio e una fine, una entrata e una uscita (in questo caso, un’entrata e un’uscita di un acquedotto), comunque sempre due, come le sue due facce! Poi Giano è il protettore della navigazione, dei porti e delle vie fluviali, in fin dei conti anche lui è legato alle acque e soprattutto a quelle genovesi; lui che è stato un tempo nella fontana di piazza Vacchero e che ora lo si può ancora vedere sopra al pozzo di piazza Sarzano. Beh, una sua copia, oggi l’originale è nel museo vicino.

Il pozzo di piazza Sarzano e il busto di Giano

Proseguiamo a sentire il racconto su Nettuno.

«La notte è lunga e bisognava scegliere dove passare: prendere via Montevideo, via San Martino d’Albaro, scendere a Terralba, proseguire poi per piazza Martinez e piazza Giusti, e una volta arrivato a Sant’Agata  cacciase in sciò Bezagno. No! Non va bene, si tratta di aegua dóce. Cosa ne dice?» Si sofferma per un attimo e spiega: «Meglio prendere allora l’altra conduttura».

Una tirata di sigaro e Battista riprende: «Ormai erano le cinque del mattino, la città dei lavoratori si stava svegliando e bisognava affrettarsi. Allora Nettuno prese la via Francesco Pozzo, via Albaro, via Pisa. Lo sa che è tutto un percorso contro corrente?» chiede aspettandosi uno sguardo di stupore, ma vista la mia indifferenza riprende il racconto: «Ma per lui non era un problema, era abituato a ben altre correnti».

Nella foto di destra la tubazione dell’Acquedotto Marino in via Pisa

Certo si tratta di un vero primato italiano per questo acquedotto genovese, ma poi Nettuno…

Non riesco a finire il discorso che un tram sferraglia vicino e copre la mia  voce.

«Ö cinquanta».

Come?

«Ö – l’è – ö – tranvai. Ö cinquanta».

Baciccia, cömme che a l’andaeta? Insisto in dialetto cercando di arrivare al dunque.

«Prima che lo aprissero, in Caignan, c’era una piccola presa nell’ultimo tratto di via Corsica, proprio sotto il Poggio della Giovane Italia. Con quell’acqua di mare innaffiavano tutta Carignano e nessuno si lamentava, come adesso, del logorio sui cerchioni delle auto e sulle rotaie del tram per via della salsedine».

Non intendevo questo Baciccia.

«Cose voei che ve digghe

Ma cömme che a l’andaeta a finì a istöia du Nettuno?

«Ah giusto, all’altezza di via Flora bisognava fare attenzione. Lì c’è una deviazione da non prendere, si rischiava di andare nell’altra conduttura e finire dentro al grande serbatoio, quello vicino al forte di San Martino».

Acquedotto Marino, il serbatorio di S. Martino, Genova

Quindi?

«Quindi bisognava proseguire ancora dritti e poi a destra, giù lungo via Guerrazzi, e da lì è stato un attimo arrivare nella spiaggia di San Giuliano». Battista si ferma ancora per tirare un’altra boccata al sigaro e conclude: «…e se caciò in mâ». Ma prima di rientrare in portineria aggiunge: «Io però non ci credo».

Andati in seguito a San Giuliano abbiamo intervistato un vecchio pescatore che ci disse di aver sentito quel giorno dei strani gorgogli provenire dalla casetta in Lungomare Lombardo al 26, lì dove c’è l’impianto di presa dell’acquedotto marino. Nelle successive indagini a seguito della scomparsa di Nettuno alcun voci, non accreditate, dicono che abbia aspettato la notte chiuso in quella casetta di San Giuliano per ritornare nelle profonde acque del mare.

La fontana di piazza Tommaseo, senza Nettuno

 

 

 

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