Sono lì gli amici “genovesi” di Charles Dickens

Si, sono lì gli amici “genovesi” di Charles Dickens, tutti vicini. Altri due un po’ più distanti. Ma ora la distanza non può essere un impedimento per ascoltare lo scrittore. Gli amici “genovesi” di Charles Dickens erano alcuni suoi compatrioti, da tempo residenti a Genova. Si trattava del Console britannico, di alcuni banchieri e commercianti e delle loro rispettive consorti, ognuno di loro aveva un particolare rapporto con lo scrittore inglese. Facevano parte di una comunità, quella inglese, di circa 70 persone, un numero che aumentava in primavera ed in autunno con l’arrivo dei viaggiatori. Ma vediamo chi erano e cosa facevano a Genova.

Il console Timothy Yeats-Brown

Timothy Yeats-Brown (1789-1858) era figlio di Timothy Brown, un banchiere. Visse a Londra, dove da giovane, faceva la bella vita, spendendo più di quanto possedeva. Questo suo atteggiamento lo mise in contrasto con il padre, fino ad arrivare, a seguito di un loro litigio su di un I.O.U. (I.O.U., abbreviazione di I owe you “ti devo”, un documento informale che riconosce il debito) che entrambi contestavano, ad aggiungere a Brown il cognome Yeats, così da distinguersi da quel momento da suo padre.

Era una persona di animo buono, il suo spirito liberale lo accompagnò sempre durante la sua vita. Timothy, si sposò nel 1829 a 40 anni con la giovane Stuarta di 21 anni più giovane, figlia di Lord Erskine e di Frances Cadawaler di Filadelfia. Dalla loro felice unione, malgrado la differenza di età, nacquero 2 maschi e 5 femmine. Dopo il matrimonio vissero in Italia, nell’isola di Palmaria dal 1832 al 1840 fino a quando si trasferirono a Genova, dove Yeats – come veniva chiamato affettuosamente da Stuarta – dovette ricoprire l’incarico di console in successione di James Sterling. Il compenso, per questo incarico governativo, era allora di 400 sterline all’anno.

La tomba di James Sterling

“Ugo, quel di Bond-street”

A Londra accolse e aiutò molti profughi italiani, tra questi conobbe anche Ugo Foscolo. Il poeta e il futuro console divennero amici, come si legge in una lettera scritta da Foscolo: “Siavi raccomandato e carissimo Mr Yates Brown, amico mio, degno d’esser amato da tutti gli amici miei, vostri, e da tutti i nostri; — a chi potrete domandare novelle della Storia di Parga, ed ei ve ne darà di molte, e delle strane. — S’egli andasse a Venezia, raccomandatelo a Soranzo, e alla contessa Teotochi Albrizzi anche a nome mio, e vi ringrazieranno. — Or addio. — Ugo, quel di Bond-street”. Timothy da vero “close friend” (amico intimo) di Foscolo imprestò al poeta italiano una grande somma, a tal proposito esiste ancora un documento ( I.O.U.) che ne attesta il prestito.

Il filo conduttore di questo mio racconto

Adesso veniamo al filo conduttore di questo mio racconto, la fonte da cui ho trovato la maggior parte delle informazioni, notizie, avvenimenti storici e familiari accaduti a Genova in quei tempi. Uno dei figli di Timothy Yeats-Brown, Frederick August (1837-1917), scrisse nel 1917 un libro “Family notes” ( Una copia in lingua originale – donata alla biblioteca della Società Ligure di Storia Patria dalla moglie Ida – ancora oggi è presente in archivio) dove è descritta la vita dei Yeats-Brown a Genova. Con questo racconto, Frederick da anche una descrizione della nostra città, negli anni dal 1832 al 1849, particolari interessanti, forse poco conosciuti, aneddoti, che prossimamente metterò in un blog appositamente dedicato.

L’albero che non piaceva ai Cappuccini

Timothy Yeats-Brown una volta a Genova per assolvere il suo incarico andò ad abitare in via Cairoli, in una delle ultime case, sul lato sinistro prima di arrivare alla Zecca, ma presto si trasferì nel palazzo Cambiaso, in salita S. Maria della Sanità, oltre la chiesa dei Cappuccini dove la sua famiglia visse per 24 anni. Così Frederick ci descrive questa loro abitazione. “Occupavamo tutta la casa ad eccezione di un paio di stanze che i Cambiaso tennero per loro. Avevamo un bel giardino su due livelli con un albero di fico che ci dava dei deliziosi frutti, le sue radici passavano sotto salita S. Maria della Sanità e finivano nel terreno dei Cappuccini; i frati si lamentavano perché questo albero si nutriva delle sostanze del terreno a discapito dei loro cavoli.” Ricordiamoci che allora la salita di S. Maria della Sanità partiva dall’attuale via Goffredo Mameli per arrivare alla omonima chiesa. Il Palazzo Cambiaso di cui parla Frederik, potrebbe essere quello in via Goffredo Mameli al civico 7, dove si può vedere sopra al portone lo stemma dei marchesi Cambiaso. Gli stessi marchesi commissionarono all’architetto Giovanni Battista Cervetto (1760-1860) sulla collina di S. Maria della Sanità una dimora che potrebbe avere un riscontro con l’attuale civico 42 nell’omonima salita, sul cui portale sono impresse le lettere “C e G” (Cambiaso Gaetano ?). Fu il primo palazzo sopra descritto o il secondo in cui abitò il console?

Il palazzo di via G. Mameli, 7 con lo stemma dei Cambiaso confrontato con quello presente nella lapide di G.M. Cambiaso, nella chiesa dei Cappuccini.

Il palazzo di Salita S. Maria della Sanità, 42

Un atteggiamento informale a teatro

La “Gazzetta di Genova”, nelle sue pagine – racconta sempre Frederick – rimproverò al console di indossare all’interno del teatro il suo cappello di velluto nero e una giacca di seta rossa, mentre generalmente, le altre persone quando andavano a teatro si sedevano a testa scoperta e indossavano abiti da sera.

Una libbra di fette biscottate

La vita dei Brown-Yeats trascorreva felice nella “villa” della casa Cambiaso, villa che si estendeva nella valle dove ora ci sono via Palestro e via Goito. “Noi l’attraversavamo – racconta Frederick – per andare a comprare le fette biscottate al convento, sul crinale sopra quello che è ora via Assarotti;  Ecco la descrizione di questi acquisti: “Nel muro del convento c’era una specie di bussola che ruotava su di un perno, vicino si trovava un batacchio che dopo averlo battuto due, tre volte, ci rispondeva una voce femminile: ci benediva, e poi ci chiedeva cosa volevamo. Alla nostra richiesta di avere una libbra di fette biscottate e una volta messi i soldi nell’armadietto, si ruotava la bussola. Passava poco tempo, un altro giro e comparivano le fette e la gentile voce ci salutava.” Di questa usanza ne abbiamo anche una versione scherzosa a cui contribuì il Console. Un giorno il papà di Frederik mise nella bussola i soldi e un bambino, poi lo girò all’interno delle sacre mura. “Un minuto di silenzio, poi un’esclamazione, subito dopo delle risate femminili che aumentavano via via di volume, infine una voce dura le rimproverò ordinando di espellere il bambino. Quelle suore avranno avuto delle Ave Maria extra da recitare, quella sera! Ma avranno anche tenuto un bimbo nelle loro braccia e di questo non credo che se ne pentirono.” Guardando delle vecchie cartine di Genova, suppongo che il convento descritto da Frederik sia quello di S. Ignazio in vico del Formaggiaro, ora di S. Giuseppe in salita inferiore di S. Rocchino.

Il terribile 1849

Durante i tumulti del 1849 a Genova tra le truppe governative e i “ribelli”, comparve nella “Gazzetta di Genova” del 29 marzo, un avviso del console dove “protestava” contro eventuali danni che fossero accaduti ai cittadini inglesi e dichiarava che le Forze Inglesi stanziate in Porto prenderanno, occorrendo, le misure necessarie per proteggere gli interessi dei Sudditi Britannici. Questa notizia fu riportata anche dal giornale di Washington “The daily national Whig”.

La “Gazzetta di Genova” del 29 marzo 1849

Frederik, il figlio di Timoty che divenne console dopo la morte del padre possedeva una magnifica collezione di maioliche savonesi, e di una parte di esse ne fece dono, nel 1893, al municipio di Genova. Oggi le possiamo ammirare a Palazzo Bianco. Sul versante istituzionale in qualità di vice console, insieme a suo padre, si interessò nel 1857 di Miss Jessie White, cittadina inglese, patriota e amica di Mazzini, che imprigionata a Genova, a seguito del fallimento della spedizione di Carlo Pisacane fu liberata grazie al loro intervento.

La magnifica collezione di maioliche savonesi esposta a Palazzo Bianco

Charles Gibbs

Charles Gibbs (1807-1857) era nipote di Lyle Gibbs banchiere a Genova, alla cui morte venne in possesso dei beni dello zio, banca compresa. Lo zio Lyle fu anche il banchiere di James Smithson. Charles sposò Stuarta, una delle sorelle di Frederick Yeats Brown, tra gli sposi passavano ben 31 anni. Di Gibbs, Frederick dice: “Il nostro amico Mr Charles Gibbs prese in affitto, da un certo avvocato Accame, una villa a Quinto con giardino, situata sulla vecchia strada romana. L’ufficio era in via Nuova dove i viaggiatori inglesi incassavano i loro assegni”. Nel 1841, ad aprile, fu coinvolto suo malgrado in un scandalo internazionale organizzato da alcuni personaggi che truffarono diverse banche, cosa che all’epoca fece molto scalpore. Uno dei questi truffatori si presentò alla banca di Gibbs e si fece pagare 37.000 franchi presentando delle false lettere di credito. Gibbs fu interrogato e così un suo impiegato, Camillo Serra, che rilasciò, a una commissione arrivata appositamente a Genova, così la sua deposizione “[…] era tra le nove e le dieci del  mattino, del 21 aprile 1840, quando Coulson arrivò alla banca […] io gli diedi al momento 1000 franchi d’argento e circa 190 napoleoni (ndr monete d’oro) con l’accordo che gli avrei portato il resto al hotel ‘La città di Genova’ ”.

La tomba di Charles Gibbs
La tomba di Charles Gibbs

Charles, come i più notabili personaggi dell’epoca, aveva un palco, il n. 29 in prima fila al Carlo Felice (di questo abbiamo un riscontro da un libro sul teatro Carlo Felice, dove troviamo il palco assegnato a suo zio). Possedeva un palco anche al teatro Paganini, che metteva, come quello del Carlo Felice, a disposizione dei suoi amici. Charles Gibbs oltre che amico di Charles Dickens era anche il suo fidato banchiere.

Gli assegnatari dei palchi al Carlo Felice nel 1828 e  1928

I coniugi De la Rüe

Emile de la Rüe, (1802-1870) era un cittadino svizzero, anche lui come Gibbs possedeva una banca a Genova, fondata nel 1758 da suo zio Antoine e fra le banche svizzere, era la più antica d’Italia. Divenne amico fraterno di Cavour oltre che suo consigliere finanziario e per la sua bravura e per le conoscenze nel mondo finanziario, riuscì a far concedere, dalla banca inglese Hambro, un prestito di ben quattro milioni di sterline in favore del Regno di Sardegna. Cavour e Emile De la Rüe nel marzo del 1844 partecipano nella società a maggioranza lionese per l’illuminazione a gas di Genova. Emile era sposato con l’inglese Augusta Granet e vivevano in un appartamento a palazzo Brignole di via Nuova (ora via Garibaldi), nel 1844 conobbero Charles Dickens.

Emile e Augusta De la Rüe
L’iscrizione sulla tomba di Augusta ed Emile De la Rüe

“Humble servant and physician and patient”

Il rapporto tra Augusta e Charles fu molto particolare. Infatti Dickens dopo avere appreso le tecniche del mesmerismo cominciò a far pratica con gli amici e i suoi familiari. A Genova intraprese un difficile trattamento con la giovane Augusta de la Rüe. La moglie di Emile infatti soffriva di turbe nervose, visioni, ansie che le procuravano anche dei tic nervosi. Dopo diversi trattamenti con Dickens migliorò. Questo rapporto tra l’umile servo e medico e la paziente (Humble servant and physician and “patient) come Dikens definì se stesso e Augusta, fu molto stretto fino ad ingelosire Catherine la moglie dello scrittore. Charles, in una lettera molto romantica indirizzata alla “Dear Madame De la Rüe” gli parla di Villa delle Peschiere, villa che lui vede ogni mattina e ogni sera rappresentata in un quadro, appeso appena fuori della sua stanza. Guarda la villa con malincuore e aggiunge “Che cosa non darei per poter anch’io vederti! Ti porto con me in forma di porta gioie che già tengo in un posto assai delicato: la tasca sul petto, alla mia sinistra. Ti porto con me in punti anche più sensibili, nella tua stessa immagine, che per me mai sbiadirà o cambierà mai, accada quel che accada.

Tuo affezionatissimo”.


Una volta partito da Genova Dickens continuò a mantenere rapporti con i coniugi in modo epistolare, invece con Augusta ogni 23 dicembre alle undici di mattina – data della prima «seduta» – lui e Augusta si cercavano con il pensiero.

I loro parenti banchieri: Granet e Le Mesurier

Nella “Gazzetta di Genova” del 2 settembre 1835, tra le persone che contribuirono alle oblazioni per la commissione sanitaria a beneficio dei poveri colerosi, troviamo i fratelli De la Rue (Antoine e Jean il padre di Emile) e August Granet. August era il padre di Augusta De La Rue e di William August. William August (1816–1878) fu il fondatore nel 1864 della banca genovese Granet & Brown, con sede in Strada Nuova, l’odierna via Garibaldi. Nel 1854 William August aveva sposato Adelaide Julia Le Mesurier – sorella di Edward Algernon Le Mesurier anche lui banchiere a Genova (Granet and Brown). La banca “Granet and Brown” acquisì la miniera di Libiola a Sestri Levante che divenne in seguito la seconda produttrice di rame in Italia.

La “Gazzetta di Genova” del 2 settembre 1835

Charles Dickens

Di Dickens si è scritto di tutto e di più, ma queste poche righe sono particolarmente curiose e non potevo non riportarle. In una delle tante lettere che scrisse da Genova, o meglio da Albaro, near Genoa, in un post scriptum al Counte d’Orsay dell’agosto 1844, lo pregò di scriverli in seguito alla Poste restante, (fermoposta in francese) in quanto il postino si ubriaca, perdeva le lettere e si inginocchiava, in un sobrio pentimento ([…] Address to the Poste Restante. The Albaro postman gets drunk – loses letters – and goes down on his knees in sober repentance.”)

Una lampada per leggere, un bicchiere di acqua, e un sacchetto di carta di uva passa

Ma torniamo a “casa Cambiaso”. Frederik si ricorda, lui bambino, che un giorno il grande salone della loro casa fu onorato da una particolare visita. Si trattava di Charles Dickens. Dickens lesse un suo libro “A Christmas Carol” a un ristretto pubblico. “Penso che fu la prima volta che lesse un suo lavoro fuori dalla propria casa. Il suo tavolo era messo vicino alla porta che dava accesso al salottino e su di esso una lampada per leggere, un bicchiere di acqua, e un sacchetto di carta di uva passa, come da sua richiesta. Gli ospiti tutti intorno alla stanza, che era illuminata dalle candele di  un grande lampadario veneziano in vetro”.

Il Ventitré di dicembre

Mentre sto finendo di scrivere le ultime righe di questo mio racconto, il mio sguardo sul computer si posa sulla data odierna. Ventitré dicembre. Lo stesso giorno, alle undici di mattina, Augusta e Charles si pensavano. Lo stesso giorno alle undici, ma adesso sono le undici di sera, metto da parte il computer e prendo tra le mie mani il suo libro “A Christmas Carol” e inizio a leggere le prime righe:

Marley, prima di tutto, era morto. Niente dubbio su questo. Il registro mortuario portava le firme del prete, del chierico, dell’appaltatore delle pompe funebri e della persona che aveva guidato il mortoro. Scrooge vi aveva apposto la sua: e il nome di Scrooge, su qualunque fogliaccio fosse scritto, valeva tant’oro. Il vecchio Marley era proprio morto per quanto è morto, come diciamo noi, un chiodo di porta.”

La prima edizione del libro di Charles Dickens “A Christmas Carol” del 1843

Leggendo queste prime righe dove si parla di morte, delle persone sepolte nei cimiteri, in un attimo i mie pensieri corrono veloci, si accavallano. Mi viene in mente una frase di Nietzsche in “Così parlò Zarathustra”: “Tutto va, tutto torna indietro; eternamente ruota la ruota dell’essere. Tutto muore, tutto torna a fiorire”. Si, tutto va, tutto torna indietro insieme alle nuvole, che qui nel cimitero di Staglieno, giorni fa alzando lo sguardo al cielo (mentre continuavo a fare le mie ricerche nel British Cemetery) mi sono fermato ad osservare a lungo. Immaginavo di vedere comparire tra loro, da un momento all’altro, i volti degli amici “genovesi” di Dickens. E lì con loro anche Charles, ritornato a Genova a farli visita dopo 172 anni, per stare ancora una volta insieme come allora, quando tutti insieme, bambini compresi, pendevano dalle sue labbra mentre leggeva il suo racconto di Natale, anche se nel 1845 avvenne nel mese di giugno.

Arrivano i tre Spiriti

Riprendo a leggere seduto accanto a un tavolino e come Charles ho vicino “una lampada per leggere, un bicchiere di acqua, e un sacchetto di carta di uva passa”.

– Nipote! – rimbeccò accigliato lo zio, – tieniti il tuo Natale tu, e lasciami il mio. – Il vostro Natale! ma che Natale è il vostro, se voi non ne fate?

“A Christmas Carol” è un libro che avevo già letto anni, anni fa, ma ora la situazione mi avvolge, un po’ di pagine più avanti mi si presenta il primo dei tre Spiriti.

“ Chi siete e che cosa siete? – domandò Scrooge.- Sono lo Spirito di Natale passato. – Passato da molto tempo? – chiese Scrooge, badando alla piccolezza del suo interlocutore. – No. L’ultimo Natale vostro.

Le pagine scorrono veloci, fino ad un nuovo incontro.

Lo Spirito del “Natale presente”

– Entra! – gridò lo Spirito. – Entra! e impara a conoscermi, uomo! – Scrooge entrò timidamente e piegò il capo davanti allo Spirito. Non era più l’arcigno Scrooge di prima; e benché gli occhi di quello fossero limpidi e buoni, non gli piaceva troppo di incontrarli. – Io sono lo spirito di questo Natale – disse lo Spirito. – Guardami!”

Dopo aver conosciuto il secondo Spirito la mia lettura va avanti, è quasi mezzanotte, l’ora dell’ultimo Spirito, lo Spirito del futuro! Come non detto, ecco che:

“La campana batté le dodici. Scrooge si guardò intorno cercando lo Spirito e non lo vide più. Squillando l’ultimo colpo, gli sovvenne la predizione del vecchio Giacobbe Marley, e alzando gli occhi, scorse un solenne fantasma, ammantato e incappucciato, il quale avanzavasi, come nebbia che sfiori il terreno, alla sua volta.”

La lettura si fa dura perché il momento è piuttosto inquietante, infatti:

Lo raggiunse di nuovo, e chiedendosi perché e dove fosse andato, lo accompagnò fino a quando non raggiunsero un cancello di ferro. Si fermò a guardarsi attorno prima di entrare. Un cimitero. […] Lo Spirito era immobile come sempre. Scrooge si avvicinò, tremando mentre camminava; e seguendo il dito, lesse sulla pietra della tomba trascurata il suo nome:

EBENEZER SCROOGE.

una lastra tombale nel British Cemetery a Genova
Una lastra tombale nel British Cemetery a Genova

Sono quasi alla fine del libro e Scrooge vede la fine che poi facciamo tutti, ma la differenza sta nel modo in cui ci si arriva, nel modo in cui si affronta la propria vita, come ci si rapporta con le altre persone. Scrooge lui è pentito e lo si sente dalle sue parole

– Vivrò nel Passato, nel Presente e nel Futuro! – ripetè Scrooge, sgusciando fuori del letto. – I tre Spiriti mi parleranno dentro. O Giacobbe Marley! Benedetto sia il cielo e il giorno di Natale! Lo dico in ginocchio, mio vecchio Giacobbe; in ginocchio!

I miei occhi scorrono sulle ultime righe, sono da monito per tutti:

Con gli Spiriti non ebbe più da fare; ma se ne rifece con gli uomini. E di lui fu sempre detto che non c’era uomo al mondo che sapesse così bene festeggiare il Natale. Così lo stesso si dica di noi, di tutti noi e di ciascuno! E così, come Tiny Tim diceva: “Dio ci benedica tutti.”

Gli amici “genovesi” di cui ho parlato precedentemente, che ho “visto” tra le nuvole sono lì nel cimitero a Staglieno, la maggior parte nel British Cemetery, solo i coniugi De la Rue si trovano nel settore dei Protestanti, la cui tomba fu portata qui dal vecchio cimitero della Cava. In questa mia ricostruzione grafica, segnati in rosso, sono evidenziati coloro che sono attualmente nel British Cemetey e nel settore dei Protestanti del cimitero di Staglieno.

I componenti di alcuni amici "genovesi" di Charles Dickens e le loro relazioni parentali
I componenti di alcuni amici “genovesi” di Charles Dickens e le loro relazioni parentali

Quando tempo fa mi dedicai alla tomba di Frances Erskine – la suocera del console – togliendo la sporcizia che la ricopriva, su di un fianco della stessa trovai un’altra iscrizione. Sotto lo spesso strato di patina che si era depositata da lungo tempo trovai questa scritta:

ALSO HER SON IN LAW T. YEATS BROWN ESQ.RE / H.B.M. CONSUL / DIED 3 FEBBRUARY 1858 / AGED 69 YEARS / AND STUARTA HIS WIFE / DIED 17 SEPTEMBER 1863 / AGED 53 YEARS

la tomba di Frances Erskine
La tomba di Frances Erskine (nel riquadro l’epigrafe del console e della moglie)

Chissà se nel lontano 1845, dopo avere ascoltato questo racconto, il suo significato fece breccia nei cuori dei suoi amici “genovesi”, se la paura di una eventuale visita dei “tre spiriti” cambiò da quel momento le loro vite. Chissà se il ritorno di Charles Dickens in forma di Spirito, e la lettura del suo “A Christmas Carol” potrà cambiare le nostre vite, comunque, così come Tiny Tim diceva:

“Dio ci benedica tutti”


Bibliografia:

Lillian, Nayder The Other Dickens: a life of Catherine Hogarth, 2012.

La traduzione dall’inglese deI libro “A Christmas Carol” è di F. Verdinois (1888).

(1) La traduzione dall’inglese, della lettera di Charles Dickens è di Vanessa Calder.

Giornali: “La Gazzetta di Genova” e “Il Corriere Mercantile”.

2 Risposte a “Sono lì gli amici “genovesi” di Charles Dickens”

  1. Gent.mo,
    sono un collezionista e architetto. Vorrei scrivere un volume su Dickens e Genova. Il suo intervento è interessantissimo e mi piacerebbe pubblicarlo in questa sorta di minicatalogo che vorrei realizzare a corredo della mostra di foto e libri antichi che ho intenzione di realizzare per il Natale 2018. Sembra molto tempo ma in realtà non lo è. Mi scriva pure su [email protected] , avrò modo di raccontarle ulteriori dettagli. cordiali saluti

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