La jupe-culotte genovese

Una signora con la gonna e una con la jupe-culotte, anno 1911

Due stole di stoffa si staccavano dalla cintura di una “silhouette” bionda che camminava tranquillamente in via Roma. Tanti fischi e qualche timido applauso la avevano accompagnata, addirittura accerchiata, nella sua passeggiata, poi lei scomparve nel negozio di Finollo. Cosa stava succedendo quella mattina del 6 marzo 1911 a Genova? Poteva essere una semplice passeggiata di una elegante signora, come tante per le vie di Genova?, la passeggiata di una bionda avvenente? Non fu così.

Si trattava della prima donna in brache.

In altre città italiane c’era stato lo stesso clamore, la stessa curiosità, ma per Genova era la prima volta. Chi era esattamente questa misteriosa donna il cronista del Lavoro non ce lo dice: scrive solo che era, appunto, una bionda che indossava questo eccentrico costume, già visto sui giornali, ma ora si trattava di un soggetto in carne ed ossa. Un soggetto più di ossa che di carne, ma simpaticissimo, elegante, fine, niente altro di più.

Come una star, come quelle che si vedono solo nelle filma, scappò via passando dal retrobottega del negozio. Una macchina la attendeva nella piazzetta di via S. Sebastiano dove una folla, sempre più numerosa, si era radunata. Fischi, pernacchie, insolenze e anche applausi, questi ora più numerosi, la salutarono mentre cercava di salire in auto. Lei sorridente e calma, con una mossa graziosa presentò ai presenti ambedue le gambe liberate dalla guaina delle stole mentre alcuni dei curiosi si arrampicarono anche sulla vettura per dare una occhiata alle brache. Una gran nube puzzolente investì la piazzetta ponendo termine alla gazzarra sbracata contro la prima donna colle brache.

La parola ora passa al pubblico del giornale

La parola è al pubblico, sì, come recita la rubrica del quotidiano Il Lavoro, la parola, le domande, le opinioni passano al pubblico genovese che nei giorni seguenti scrivono al giornale.

«Caro Cronista, Ero tra i presenti alla gazzarra suscitata da un manipolo di cialtroni contro la “bella signora bionda” come tu la chiami, che inaugurò la foggia della “jupe culotte per le vie della nostra città».

Così inizia la lettera del lettore che pur sottolineando che non gradisce la nuova moda, ritiene indegno lo spettacolo inscenato da quel  manipolo di cialtroni, infatti i suoi applausi sono stati proprio una risposta per reazione alla risposta alla indecente scenaccia. Non vi va la “jupe culotte”?, domanda a coloro che erano presenti in via Roma, allora non fatela mettere alle donne di casa vostra, ma lasciatela mettere a chi piace! Possiamo dire che quest’ultima sua affermazione non sia molto democratica…

Il giorno dopo è una donna che dice la sua in una lettera al giornale.

«Ho letto e mi rallegro delle sensate parole e delle altrettanto sensate osservazioni, spiacente che anche gli altri giornali non abbiamo sentito il dovere di levare un loro autorevole monito contro i maleducati dimostranti. La stampa non dovrebbe mai dimenticare che la sua missione è soprattutto missione di civiltà e che conseguentemente non può a meno di stigmatizzare colle frasi sue più roventi quanti alla civiltà stessa attentano col loro inconsulto settarismo. Ognuno dev’essere libero di indossare la foggia di vestito che più gli aggrada. Sia uomo o sia, come chi scrive, una donna.»

Una lettera sicuramente valida ancora oggigiorno.

Una “jupe-culotte”… mancata

Una decina di giorni dopo, alle nove di sera, una folla di curiosi si affolla davanti al “Bar Moderno” di via XX Settembre. Chi era uscito dal Verdi e dal Varietes, chi passeggiava su e giù, tutti andarono a ingrossare la folla che già era numerosa. Urla, strepiti, risate rumorose, insomma un baccano insolito davanti al 168 rosso. Avete indovinato, si trattava sempre della jupe-culotte. Una donnina in preda alle gioie di Bacco e trascinandosi al braccio di un buon spazzaturaio era entrata nel bar. «La donna in calzoni! La donna in calzoni!» questo urlavano alcuni ragazzacci. La donna comunque, poco dopo, uscì indisturbata dal locale, nessuno ci fece caso perché non era in calzoni, ma bensì in gonnelle come tutte le donne di questo mondo. La folla  ignara intanto premeva davanti al bar, tanto che il proprietario, per sua sicurezza e del suo locale, pensò bene di chiudere la saracinesca. Pochi minuti dopo una guardia intervenne e riaperto il bar poté dimostrare ai curiosi che nessuna jupe-culotte era dentro. Ma non è finita qui.

nientedimeno che due “jupe-culotte”

Alla fine di aprile, questa volta in vico Notari, altre urla e fischi all’indirizzo di ben due giovani signore indossanti anche loro la novità: la jupe-culotte. Per sfuggire ai ragazzacci dovettero prendere una vettura cittadina in piazza Umberto I, lasciando dietro di loro gli schiamazzi e anche le proteste di alcuni cittadini contro la incivile manifestazione. Poterono sfuggire in modo veloce e disinvolto grazie al sarto parigino Paul Poiret che proprio in quell’anno aveva creato la jupe-culotte per facilitare i movimenti delle donne, specialmente in sella alla bicicletta.

Per la cronaca un episodio simile si verificò alla fine di marzo a Torino, quindi più di venti giorni dopo Genova, ma come nella nostra città la gazzarra avvenne anche lì in via Roma. Dalla cronaca cittadina della Stampa si legge che la folla era tanto numerosa che il proprietario della confetteria, dove si pensava che la signora si fosse rifugiata, dovette chiudere il locale e nel farlo ruppe una vetrina. Chiamò anche la Questura che intervenne per due volte, insomma una gazzarra che durò per ben quattro ore, bloccando anche il traffico tramviario. Insieme alla notizia fu pubblicata anche una lettera di un collaboratore del giornale che spiegava i retroscena di quell’assedio, aggiungendo alla fine: «quella signora che l’altra sera ha sollevato quel po’ di can can sotto i portici era mia moglie…».

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