Seconda parte di “Family notes”: Albaro e S. Giacomo di Carignano. Alla scoperta di chi erano, e cosa facevano i componenti della comunità inglese a Genova nel XIX secolo.
“Non largo abbastanza”
«Com’era bella Albaro in quei giorni! Per raggiungerla bisognava passare sul ponte sul Bisagno, che ogni due e tre anni era portato via dalle piene del torrente, per essere poi subito ricostruito.
Le grandi ville dei nobili genovesi che si erigevano su terreni estesi, molti di loro fortificate per le invasioni dei pirati, avevano enormi stanze da ricevimento e ahimè, quelle per i domestici, erano poco decenti. Di queste ville ricordo in particolar modo una storia – raccontatami da un mio amico – di un proprietario che viveva in un vecchio palazzo di Albaro con 7 grandi hall, alte 45 piedi».
«La moda del tempo era adornare le stanze di ricevimento con grandi, qualche volta grandissimi vasi da fiori, così questo nobile andò a cercare un grande vaso nei negozi di Londra. Gliene mostrarono parecchi, ma nessuno di questi era di una misura giusta per la sua grande stanza. Il venditore stanco di sentire “Non largo abbastanza, non largo abbastanza” disse: “Signore, questo vaso fu molto ammirato dal principe di Galles, che lo giudicava molto fine, ma troppo grosso per lui”. Il mio amico rispose “Non sarebbe troppo grande per me, ma non mi piace”. Il venditore così impressionato per questa risposta lo accompagnò alla porta per vedere che sorta di mezzo di trasporto lo attendeva. Fu molto deluso nel vederlo andare via in una semplice carrozza».
La metà del foglio
Ecco un’altra storia sulle case di Albaro raccontata nel libro. «Un francese arrivato a Genova andò dal suo banchiere e una volta incassato il suo assegno, fu invitato dallo stesso – che era una persona molto educata – nella sua casa in Albaro. Mentre attendevano di essere serviti, il domestico scivolò sul pavimento di marmo e le preziose tazzine e i piattini di Sevres andarono in frantumi!
Il banchiere rimase indifferente, disse semplicemente al domestico di portarne altre. La sua calma sorprese il francese che chiese una spiegazione. “Mi scusi” disse “Quando ero con voi questa mattina mi consegnaste la ricevuta perché la firmassi sulla metà di un foglio, da cui poi accuratamente toglieste via l’altra metà. Questo dimostra che siete un uomo attento ed economico al quale, la rottura dello squisito servizio di Sevres dovrebbe essere una grande perdita, come in effetti, mi sembra che dovrebbe essere! Mi perdoni la mia indiscrezione e mi chiarisca questo mistero”. “Mio giovane amico” disse il banchiere genovese, “la perdita del servizio di Sevres è una questione che mi lascia indifferente perché ho ancora la metà del foglio.” Certamente il vecchio aveva osservato la scrollata di spalle sprezzante del francese “al taglio della carta” e aveva preparato la scena delle tazzine per darli una lezione».
Frederick, avendo conosciuto bene i genovesi fin da bambino, riporta questi due episodi sulla cattiva nomea legata ai genovesi, ma non si tratta di avarizia, come generalmente si definisce, ma di oculatezza. Raccontando un altro episodio su Genova, Frederick infatti scrive: “The Genoese are thrifty, hard working people, like the Scotch” – i genovesi sono parsimoniosi e persone che lavorano sodo, come i scozzesi.
Il pastore di S. Giacomo di Carignano
«Durante quegli anni non c’era una chiesa presbiteriana o scozzese a Genova. C’erano dei cappellani del consolato che il governo inglese, con la somma di 160 sterline annuali, insieme alle offerte dei residenti, servivano al loro mantenimento».
Il libro di Frederick ci fa conoscere John Irvine e soprattutto dove abitava, in una parte della città che è cambiata da come era allora. «Era un pastore evangelico di origine scozzese, che viveva a S. Giacomo di Carignano, in una casetta separata dal mare da un piccolo giardino e con un gazebo (che usava come stanza per le lezioni) posto sopra una terrazza, da dove si vedeva il mare, fino al promontorio di Portofino. San Giacomo era uno dei più bei luoghi di Genova, si affacciava sul mare a est della Batteria della Cava, dove ora è la fine di via Corsica».
John Irvine dava lezioni di matematica e di latino a Frederick (che lo raggiungeva a piedi attraversando l’Acquasola) e rimase sempre nel cuore del ragazzo non solo per i suoi insegnamenti. Irvine era tanto bravo che alcune famiglie ricche di Londra gli mandarono a lezione i loro figli. Frederick fu profondamente legato al pastore e alla moglie, che purtroppo, persero il loro unico figlio in tenera età.
Una chiesa nella crosa del diavolo
Con le mie ricerche ho trovato notizie sul pastore in un libro stampato a Londra (Bunnett 1844). Da un altro libro (Biber 1846) ho potuto trovare che le funzioni religiose a Genova si svolgevano in una casa privata al n. 1791 della Strada S. Giuseppe, comunemente chiamata Crosa del Diavolo e il reverendo designato nel 1841 era appunto il nostro Irvine. In questo libro si legge che John Irvine abitava nella casa “Balbi Piovera” in piazza S. Giacomo di Carignano. In questa casa-chiesa in Crosa del Diavolo i ricordi di Frederick sono legati al 1847 quando la carestia delle patate colpì l’Irlanda. Durante una funzione religiosa in beneficenza degli irlandesi, Frederick con la sua numerosa famiglia erano seduti in due banchi, ognuno con un’offerta in denaro. Lui aveva una moneta da 5 franchi che nella sua manina gli sembrava grande e magnifica.
Consultando la mia lista sul British Cemetery di Genova ecco la lapide che riporta incisi questi nomi: A.W. IRVINE AUG 21 1844 /C. N. IRVINE MARCH 13 1852 / I. IRVINE MAY 20 1851 / IN MEM. Riporta solo le iniziali dei nomi, ma da altri riscontri ho trovato che si tratta proprio di questa famiglia. Nel giornale “Spectator” del 7 giugno 1851, nell’elenco dei deceduti troviamo “DEATHS: On the 20th May, at Bradenham Rectory, Bucks, the Rev. John Irvine, ILA., who during eleven years discharged the duties of the British Chaplaincy at Genoa”. Qui abbiamo la corrispondenza della data della morte con quella della lapide e che il pastore officiò a Genova per 11 anni. Stessi dati nel libro dei membri dell’università di Oxford.
Da un registro parrocchiale inglese un nuovo riscontro, qui conosciamo anche il nome completo della moglie del pastore: To the memory | of | the Revd. John Irvine, M.A. | H.M.’s Consular Chaplain | at | Genoa | Died May 20th, 1851 | aged 46 years. Also | Catherine Newnham Irvine | Relict of the above | Died March 13th, 1852, aged 37 years.
Irvine era una persona molto conosciuta, tanto importante da essere menzionato da Richard Cobden¹ in una sua lettera durante il suo soggiorno a Genova: “Genoa, Jan. 18th.1847 — Called upon MR irvine the protestant clergyman, Mr Brown [il console Timoty Yeats Brown], Mr Joyce – the latter an old gentleman of 86 who has been 80 years in Genoa – speaking of the siege sustained by Massena he said that a ship’s biscuit sold for 11 francs”. “Chiamato Mr. Irvine, il pastore protestante, Mr. Brown, Mr. Joyce – quest’ultimo un vecchio signore di 86 anni che vive a Genova da 80 anni – parlando dell’assedio sostenuto da Massena ha detto che un biscotto della nave fu venduto per 11 franchi”.
¹ Richard Cobden (3 giugno 1804 – 2 aprile 1865) è stato un politico e pensatore britannico, fondatore e leader del manchesterismo.
I divertimenti giovanili
«Io con la mia famiglia andavamo a trovare un amico di famiglia, Charles Gibbs [ndr. fu anche il banchiere di Charles Dickens e marito di sua sorella Stuarta], che abitava in una Villa con giardino, presa in affitto a Quinto, situata sulla vecchia strada romana con una bella vista sul mare. Ora non è più così, per via della costruzione della stazione e di altre case». Questo giardino con il mare a poca distanza, per Frederick e per i suoi fratelli era una grande attrazione.
Un altro passatempo era anche noleggiare per un’ora i ponies e a cavallo di questi fare una passeggiata all’Acquasola, alla Strega o in giro per le Mura. Il mare era comunque, nella stagione estiva, un divertimento e quando diventarono più grandicelli: «Io e mio fratello Monty imparammo a nuotare – in 50 lezioni – con delle zucche allacciate come cinture di salvataggio. Prendevamo un battello a Ponte Reale e andavamo nelle acque pulite della Darsena e poi quando eravamo pignoli e ci ostinavamo a pensare alla purità dell’oceano, nuotavamo anche alla fine del molo vecchio. Allora era anche possibile trovare le acque pulite nel porto, sebbene nel 1859 fosse stato irrevocabilmente “inquinato” dai francesi».² Quest’ultima sua affermazione mostra la poca simpatia degli inglesi per la Francia, ma «non più adesso [1917] che siamo alleati» precisa Frederick.
² Frederick si riferisce allo sbarco a Genova delle truppe francesi e di Napoleone III il 12 maggio 1859.
La vita di casa
I domestici che lavoravano in casa Cambiaso erano Antonio, un cuoco, un giardiniere e due cameriere, Nicoletta Daneri e Caterina che servirono la loro famiglia per più di quarant’anni.
«Alla tavola di mio padre sia il cibo sia il vino erano molto apprezzati, mi ricordo anche di mia madre quando, con un lunga cassa, prendeva da una giara l’olio di oliva necessario per accendere le lampade, allora a Genova non era ancora apparso il petrolio per quest’uso. Il primo cargo di petrolio arrivò alla Mess. Grants, Balfour & Co., una società inglese con filiali a Livorno, Trieste e appunto a Genova. «Qui venne gestita da Azulay, un ebreo di tutto rispetto, l’ufficio era in via Nuova, al piano terra del primo palazzo a sinistra venendo da piazza Fontane Marose [via Garibaldi, 2 – palazzo Pantaleo Spinola], Azulay viveva all’ultimo piano, che fu in seguito occupato dal mio amico Edward Balfour che qui morì nel 1856».
In una pubblicazione a uso commerciale stampata a Londra (1844), è presente una tabella con prezzario, riportante un resoconto sui prodotti esportati da Genova, nel gennaio 1843. Questo documento dove vengono indicati prezzi, pesi e misure italiane e inglesi è appunto della “Grants, Balfour and Co”. Questa ditta risulta insieme ad altri firmatari [negozianti inglesi] di un avviso, apparso sulla Gazzetta di Genova, dove si precisa al Pubblico che i pagamenti fatti ai Commessi de’ Negozianti, da parte dei debitori, non verranno riconosciuti per validi senza un’autorizzazione scritta.
Di Azulay abbiamo notizie anche dalla Gazzetta di Genova del marzo del 1856, dove è presente in un elenco di contribuenti – assieme ad altri genovesi – a favore dell’Associazione di N.S. della Provvidenza, per la cura dei poveri infermi.
La Marchesa Lilla e la scala nera
La scala nera (“The black stair”) che abbiamo menzionato prima, nella descrizione della casa Cambiaso, fu così chiamata a causa del fumo che percorrendola andava a ristagnarsi sotto il pavimento dell’ultimo piano e nei giorni successivi fu causa di un incendio che ridusse, quasi in fin di vita, una figlia del console. Quella stessa notte «La madre del marchese Santo Cambiaso ³ mentre dormiva su una poltrona nella sua stanza a lei riservata, si svegliò e vide la pittura del pavimento “friggere” per il calore, la paura fece tanto che la vecchia signora – che non camminava da anni – si alzò senza alcun aiuto e uscì dalla stanza. Un quarto d’ora dopo il pavimento crollò».
³ la Marchesa Lilla (Maria Pellegrina Caterina Giustiniani q. Luca)
fine 2° parte – Continua