Alla ricerca delle “Fame” perdute

Particolare del bassorilievo delle Fame
Figura 1 Particolare del “bassorilievo” delle Fame presente alla base del monumento a Cristoforo Colombo

Storia di un bassorilievo nel monumento a Cristoforo Colombo a Genova

Tutto iniziò alcuni anni fa osservando una fotografia (v.fig. 1) del monumento a Cristoforo Colombo in piazza Acquaverde a Genova. Nella foto di Godard, probabilmente del 1862, notai che in basso al monumento era presente un particolare diverso da quello che ancor oggi possiamo ammirare. Un particolare non più presente: un bassorilievo dove c’erano otto Fame (dal latino fari che significa parlare, personificazione della voce pubblica. Nella mitologia romana era una divinità allegorica, ndr), la coppia sul lato sud reggeva un cartiglio recante la scritta “A CRISTOFORO COLOMBO LA PATRIA”, simile testo ora presente sulla lastra marmorea (v. fig. 2).

L'epigrafe posizionata a Sud
Figura 2 – L’epigrafe posizionata a sud del monumento a Cristoforo Colombo

Questo tema, ultimamente, è stato motivo di approfondimento da parte di due Gruppi di Facebook: “C’era  una volta Genova” e “Genova e Riviere – Antiche foto, cartoline, quadri e stampe”. Così ho iniziato la ricerca sul Corriere Mercantile” e sulla “Gazzetta di Genova” entrambi per l’anno 1862.

Nei vari articoli usciti in quell’anno, nella “Gazzetta di Genova” del 14 luglio, a fine dell’articolo, ho trovato per la prima volta menzionate, le Fame «[…] Nei grandi lati del piedistallo saranno in seguito collocate otto grandi Fame, due per lato sorreggenti tabelle, che sul modello prima d’ora fatto da Santo Varni vennero ordinate a Carrara e poi sospese, ed ora se ne fece riprendere l’esecuzione.»

Sempre sulla “Gazzetta di Genova” a settembre «[…] Speriamo dunque che, mentre stanno dipingendosi provvisoriamente intorno alla base del monumento le Fame, che vi saranno poscia locate in basso rilievo dall’ammirato scalpello del nostro Varni, si provvederà con  sollecita cura a preparare il campo su cui debbono torreggiare tante insigni creazioni dell’arte italiana. […]» Anche in questo articolo si evidenzia che questi bassorilievi sono opera del genovese Santo Varni.

Nello stesso mese, ma questa volta è il “Corriere Mercantile”, in questa breve, a citare per la prima volta le Fame «In occasione dell’arrivo nella nostra città degli augusti personaggi la R. commissione del monumento Colombo ha disposto che il medesimo sia completamente scoperto, si che possa godersi da ogni lato in tutta la sua integrità. Affinché l’incompleta base offra un’idea esatta della sua decorazione, fece dipingere a fresco dal prof. Isola [Giuseppe Isola, esponente della Sessione di Belle Arti della Società Ligure di Storia Patria, ndr] le otto Fame che devono adornarlo. […]».

Lo stesso giornale il 29 settembre nell’articolo sull’arrivo a Genova del Re d’Italia e della Regina del Portogallo scriveva « […] il monumento di Colombo si poteva contemplare finalmente spoglio del solito steccato e completo meno le otto Fame del basamento, dipinte provvisoriamente quanto bastasse per accennare che vi saranno collocate in rilievo di marmo. […]».

A ottobre incomincia un dibattito tra i due giornali

Si dibatte sull’aspetto artistico e sull’opportunità o meno di collocare il bassorilievo delle Fame, considerato anche il loro costo di 18/22 mila franchi. Inizia il 14 ottobre il “Corriere Mercantile” scrivendo:

Ci permettiamo di fare ancora alcune osservazioni sul Monumento Colombo, che sono l’eco di molti artisti e d’intelligenti. La collocazione delle otto Fame (ora soltanto dipinte) nel basamento è disapprovata, poiché come idea filosofica non regge; primo punto perché quel visto simbolo pagano non ha nulla che fare con un Monumento tutto improntato di simboli della religione cristiana; poi perché il nome di Colombo non ha bisogno né di Fame ne di iscrizioni; in ultimo perché questi simboli mitologici devono alleggiare sui monumenti e non radere il suolo. Sotto l’aspetto artistico esse producono una vera confusione a detrimento degli eletti lavori scultorici che figurano al di sopra, senza contare quel ridicolo incontro di tanta calcagna nei quattro angoli dei basamenti, che assume l’aspetto di una lotta a calci delle otto femmine alate. Il monumento Colombo se ha un difetto è forse quello di essere sopraccarico di lavori da non avere, per dirla con termine artistico, un po’ di riposo; era quindi convenientissimo di sopprimere le Fame, come era già stato fatto, e lasciar il basamento (che secondo noi sarebbe stata ottima idea di eseguirlo in granito di Baveno perché avrebbe fatto trionfare la bianca tinta del marmo) colle semplici tavolette portanti le brevi legende; in tal modo ci avrebbe guadagnato il monumento e le finanze municipali, che non dovrebbero pagare l’ingente somma di 22 mila franchi. Come lavoro isolato le Fame in questione saranno certamente ammirabili perché affidate a valente scalpello, ma come decorazione, lo ripetiamo, l’effetto è infelicissimo. […]

Risponde la “Gazzetta di Genova”

“Beate le arti quando giudicassero solamente gli artefici.” Questa sentenza di un sommo rettore ci soccorse nel leggere gli appunti che il Corriere Mercantile muove ai lavori del monumento Colombo, segnatamente alle progettate Fame che provvisoriamente, con approssimativi segni, rappresentate nel luogo che dovranno occupare. Non è mestieri dire quanto precipitato e poco fondato giudizio sia quello che si vuole portare di un basso rilievo desumendolo dall’effetto di un affresco frettolosamente dipinto come si dipingono le tele dei monumenti di circostanza. Per quanto autorevoli possano essere le parole del Corriere Mercantile, siamo d’avviso che non tutti gli artisti convengono nella sua opinione, che inadatto e sconveniente sia il progettato ornamento delle Fame negli specchi del basamento del Monumento, e l’avviso nostro trova non spregevole conferma nel parere dei professori di Milano, i quali trovarono bene approvare il disegno del Monumento colle Fame. Un’altra autorità, che speriamo al Corriere Mercantile non tornerà spregevole, è quella dell’ideatore del monumento, il sig. Canzio, il quale non solo vi avrebbe voluto le Fame, non eziando quegli ornamenti, che a modo di antefisse, coronando le cornici del basamento, ne toglievano quella sensibilissima monotonia di linee, che non può sfuggire a chi si faccia ad osservare angolarmente il Monumento. Che le Fame non debbano mai trovarsi a terra, ma aleggiare sovra i monumenti, che vengono ad ornare, ci pare tale sofisma quale sarebbe quello di censurare il sole perché, destinato a dominare nell’alto dei Cieli, ci si mostra ora quasi sorgente dalle vette dei monti, ora quasi tuffato nelle onde del mare.

Figura 3 Base della colonna Trajana

Un artista dotto nell’arte sua non potrebbe seriamente muovere tale censura, a far tacere la quale avremo le migliaia di esempi nei monumenti di Roma, e per non citarne altri, quello della famosa colonna Trajana, [come si vede nella figura 3 non sono le Fame, le figure che reggono l’epigrafe ma trattasi di Vittorie, ndr] nella quale appunto veggonsi le Fame non sorvolanti alla colonna, ma in basso nel primo basamento. Lo sgradevole effetto delle calcagne rincontratisi agli angoli non vuol essere attribuito all’artista, perché egli dovette uniformarsi alle esigenze della Commissione Organizzatrice del Monumento, la quale incaricata di un modello unico da ripetersi nelle quattro fronti. Sarebbe potuto dar differente postura alle gambe delle aleggianti Fame, ma allora forse la censura si sarebbe scandalizzata di tante gambe in aria. Un’altra osservazione che non poteva entrare in mente ad un artista è quella che il Monumento sia già sopraccarico di ornati. Ove sta di grazia il superfluo? Ci si dica che gli unici ornati del Monumento, i nastri ed i festoni, sono male a proposito collocati, e condannano le statue degli angoli a campeggiare su di un tritume; ci si dica che negli specchi dei piedistalli delle quattro statue mancano quei fregi e quegli emblemi, che par vi vorrebbero ed allora converremo che artistico è l’occhio scrutatore della mente, che si rivelano negli ornati del Monumento. Il mezzo suggerito ad evitare il pretesto sconcio delle Fame ci conferma nell’opinione, che non sia un artista quegli che parla per mezzo del Corriere Mercantile. Qual mai artista, fossianco mediocre, vorrebbe collocare in un monumento architettonico una basamento di granito non richiamato da alcuna altra delle modanature del monumento? E nel caso concreto in cui non trattasi di un solo ma di una parte che si collega direttamente collo insieme. L’impegno del granito tutt’al più si converrebbe per fare il pavimento. Un errore di fatto contiensi poi nell’asserzione sul prezzo pattuito per le Fame. Noi possiamo assicurare per informazioni assunte a fonte genuina, che 18 mila, non 22 mila franchi è il prezzo pattuito per quel lavoro. E giacché ci troviamo a discutere di questo terminale lavoro del monumento Colombo, a nostra volta metteremo innanzi un’osservazione, appoggiati anche dall’egregio scultore incaricato di quel lavoro, che dovrebbesi cercare di annientare l’arco formato dalle due Fame e dalla tabella aggiungendovi in quel vano semicircolare, che al disotto ne risulta un festone o qualsiasi altro fregio che l’egregio autore del disegno del monumento saprà facilmente trovare a togliere quella disaggradevole lacuna.

IlCorriere Mercantile ribatte così

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Figura 4 – foto di C. Hodcend, s.d.

Alla Gazzetta di Genova spiacciano le brevi osservazioni che ci siamo  tolte la libertà di fare alle Fame, ormai veramente famose collocate nel basamento del Monumento Colombo. Appoggiati al pubblico giudizio, tentammo dimostrare che filosoficamente quel simbolo mitologico (usato ed abusato fino alla nausea, poiché dai monumenti pagani passò come decorazione nei teatri, nelle sale da ballo, e i ridotti, nei caffè e perfino ad ornare le facciate delle botteghe dei merciai e dei confettieri) mal s’addiceva a un Monumento tutto improntato di simboli cristiani; che facendo anche astrazione da ciò, il nome di Colombo non aveva bisogno di otto Fame (poiché invero ne ha una così grande, così immensa che abbraccia i due emisferi), ne d’iscrizioni per raccomandarlo ai posteri; che la collocazione delle Fame con tanto d’ali spiegate all’imo del Monumento non ci sembrava conveniente, perché questi simboli, secondo il nostro modo di vedere, devono aleggiare in alto dei monumenti e non radere il suolo. La Gazzetta passa sopra alle due prime nostre osservazioni, sebbene in sostanza siano le più importanti, e si ferma sulla terza, dimostrandoci come anche nella Colonna Trajana questo simbolo figura nella base di essa. Ivi però se ben ci ricorda, non vi ha che una sola Fama escludendo così la ridicolezza di metterne otto. E del resto, né è un esempio, né due, né molti scemano le ragioni contrarie. Per ciò che riguarda l’effetto artistico, la Gazzetta lo trova appagante, invocando il favorevole giudizio dato dall’Accademia di Brera al progetto del Monumento in cui figurano le Fame. Noi sebbene, in massima poco credenti all’infallibilità dei Consessi Accademici, osserviamo che il mandato dell’Accademia milanese si limitava a scegliere uno dei progetti del Concorso, e che un accessorio, anche male applicato, non poteva influire sul giudizio quando il merito del progetto era stato riconosciuto agli altri superiore. Ma la Gazzetta però implicitamente conviene che le sedici calcagna in aria delle otto femmine alate non producono un effetto molto vago sotto nessuno aspetto, scusa lo scultore di non averlo saputo evitare. Ma in questa faccenda lo scultore è fuori causa, poiché sfidiamo il primo statuario del mondo ad evitare un tale sconcio; anzi noi abbiamo dichiarato che come lavoro d’arte le otto Fame, prese isolatamente, saranno ammirabili perché affidate a valentissimo scalpello; che la sola colpa era di chi le aveva ordinate dopo che erano state molto assennatamente eliminate. Ripetiamo questa nostra esplicita dichiarazione per escludere la ben che più lontana idea di far appunto di ciò all’egregio artefice cui venne affidata l’esecuzione delle Fame in questione. La Gazzetta poi ci rimprovera l’osservanza da noi fatta, in modo dubitativo, sulla copia dei lavori del Monumento che a noi pare soverchia per l’effetto complessivo, e ci domanda dove sia il superfluo? Ma il bello si è che poche righe più sotto, con un’ingenuità prodigiosa, anzi colossale, asserisce esservi nel Monumento un Tritume da impedire che le quattro statue figurino convenientemente sul fondo del medesimo. Non siamo artisti ma sappiamo però che il vocabolo tritume in arte significa confusione, e che si usa soltanto nella censura la più vera; confessiamo quindi che noi non avremmo osato adoprarle.

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Figura 5 – Palazzo Bendinelli Sauli, via San Lorenzo, 12 Genova

Riguardo poi alla meraviglia della Gazzetta per l’usare nei basamenti dei Monumenti una materia diversa da quella del corpo dei monumenti stessi, tanto più quanto trattasi di una materia nobile, che si accordi con la tinta dominante, e che venga collegata con qualche richiamo, non vogliamo farla viaggiare lungamente per cercare gli esempi. Esso non ha che a recarsi a Torino, ove esistono monumenti moderni che fanno autorità. Che se questi esempi non le sembrassero abbastanza autorevoli, noi consiglieremmo la nostra consorella di profittare del privilegio che gode di libera introduzione nell’Eterna Città, recandosi a fare una visita a S. Pietro, ove scorgerebbe gli antichi mausolei che torreggiano in quel tempio con basamenti diversi dal corpo monumentale, cioè di verde antico, di breccia, di pentelico, di giallo antico, di africano ecc. ecc. i quali hanno tinte certamente più forti che non il granito, Quanto poi al destinare quest’ultimo come fa la Gazzetta, all’umile uffizio di lastrico, ci permettiamo di osservarle che quando la classica Roma riedificò il tempio di S. Paolo preferì questa pregevole pietra da pavimento come essa la chiama al prezioso marmo nel costruire le colossali colonne destinate ad adornarlo, malgrado le spese favolose che doveva affrontare per farle estrarre dal Sempione e trasportarle al suo destino. Una prova poi che il granito si sposa molto bene alla tinta del marmo l’abbiamo sott’occhi nella ricca facciata del palazzo della Banca Nazionale, eseguito dall’egregio ingegnere Gardella. [Precedentemente Palazzo di Sconto ora Palazzo Bendinelli Sauli. Sopra al portone c’è un bassorilievo scolpito da Santo Varni con due figure simboleggianti due fiumi la Liguria e il Piemonte – figura 5, ndr] Noi potremo moltiplicare le citazioni, ma temendo d’annoiare i nostri lettori; reputiamo ch’esse bastino a provare le leggerezza delle sentenze profferite dalla Gazzetta di Genova in fatto d’arte, e diamo un addio a questo soggetto.

L’ultimo cenno sul tema è dellaGazzetta di Genova”

Il Corriere Mercantile ha voluto sabato rispondere alle osservazioni da noi fatte al suo primo scritto su le Fame nel Monumento Colombo, e vi rispose nel modo il più trionfale, concludendo ciò col dire che leggere erano le sentenze della Gazzetta e che dava un addio al soggetto in discussione. Se la conclusione del Corriere fosse logica conseguenza di giuste promesse noi ci ritireremmo umilmente a meditare i gravi insegnamenti datici, ed in luogo di riprendere la parola confusi ce ne staremmo a meglio studiare. Gli insegnamenti che ci da nel suo ultimatum il Corriere hanno piuttosto che di soli ragionamenti l’apparenza di retorici artifizi, non sempre fedeli. Quindi è che migliore spediente per confutarli crediamo non vi sia che riassumerli. Il Corriere si lagna che la Gazzetta abbia lasciato fuori la più importante delle sue osservazioni, quella ciò che filosoficamente la Fama, simbolo pagano, non si conviene al Monumento Colombo, perché improntato di simboli cristiani, e l’altra il nome di Colombo non ha bisogno di otto Fame, perché ne ha una così grande, così immensa che abbraccia i due emisferi. La ragione perché la Gazzetta non tenne conto di nostre filosofiche osservazioni non può sfuggire alle persone serie, e con buona pace del Corriere  […] di […] dissertazioni ci asterremo ancora una volta dal discutere osservazioni […] e fondate su giochi di parole piuttosto che altro.

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Figura 6 – Base della colonna Trajana (disegno di Piranesi)

L’esempio della colonna Trajana in cui non una come vorrebbe dire il Corriere, ma lo ripetiamo, quattro [come si vede nella figura 6 non si tratta delle Fame ma di quattro aquile, ndr) si veggono nel basamento, non pare al nostro confratello autorità valevole ad affermare la sua opinione, come non trova valevole per lui il giudizio dell’Accademia di Milano. Come potremmo noi sperare di trovare autorità presso di […] gli antichi esempi, ne i presenti maestri […]? Con pari disinvoltura  a quella con cui rigetta l’autorità degli esempi e dei giudizi cerca di levar rumore di una contraddizione nella quale con ingenuità colossale, egli dice, è caduta la Gazzetta domandando dove sia il superfluo degli ornati del Monumento Colombo, e poco più sotto che le quattro statue son condannate a campeggiare su di un tritume. Per tirarci in questa contraddizione il Corriere ha taciuto le parole della Gazzetta, le quali appunto dicevano: gli unici ornati del Monumento i rostri ed i festoni sono male a proposito collocati … E sono questi che la Gazzetta qualificò di tritume su cui vengono a campeggiare le quattro statue d’angolo. Se il Corriere vorrà leggere le parole della Gazzetta meno filosoficamente non avrà a meravigliarsi della colossale ingenuità della Gazzetta, ma piuttosto della scioltezza e scorrevolezza sua. L’ultima osservazione del Corriere che ci riferisce all’impiego del granito nel basamento del Monumento senza che sia richiamato da alcuna altra parte del Monumento, viene sostenuta dalla citazione dell’esempio degli antiche mausolei. Al Corriere, che vuole essere tanto logico non garba l’esempio della Colonna Trajana da noi citato e contrapposto ad un […] Monumento, e vorrebbe imporci l’esempio di un sarcofago posto sopra di un solo di un altro colore, perché su quello avesse a modellarsi un monumento architettonico? La questione della convenienza delle tinte del granito con quella del marmo, ed i pregi di quella pietra ci pare anziché fuori di luogo, abbenchè il Corriere la porta in mezzo a mostrare la leggerezza delle nostre sentenze.

Con questo articolo si conclude il dibattito fra i due giornali, ma non il mistero delle Fame. In questi ricerca effettuata, come precedentemente detto, sfogliando non senza fatica tutto il 1862, ho trovato menzionate le Fame, ma solamente come opera dipinta. In questa foto di Stefano Finauri (v. fig. 7) possiamo vedere la base del monumento solamente con il plinto, dove verrà posizionata la statua di Cristoforo Colombo e l’America, e le basi delle quattro statue. Non ci sono le Fame perchè verranno dipinte anni dopo, ma la cosa che si riscontra in questa foto, come in altre, è il colore del basamento, un colore ben diverso dal resto del monumento.

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Figura 7 – 1859-60 Furne Fils et H. Tournier n. 60 Fotografia stereo

Da quanto scritto possiamo capire che le Fame rimasero dipinte sicuramente fino ad ottobre 1862. Se il bassorilievo di Santo Varni fu collocato e quando fu sostituito e per quale motivo, rimane un mistero che speriamo di risolvere.

2 Risposte a “Alla ricerca delle “Fame” perdute”

  1. Buongiorno Marco,
    l’articolo con il quale ha ricostruito la storia delle Fame è veramente molto interessante e preciso.
    Nell’ultima fotografia del 1859-60, a sinistra, alle spalle del poi demolito albergo Nazionale, si vede chiaramente un palazzo con un marcapiano pronunciato ed il timpano rivolto ad ovest ben definito che negli archivi storici e nella collezione di mappe dell’archivio storico del Comune è riconosciuto essere l’ex Monastero di Santa Brigida. A fianco dello stesso compaiono i tre palazzi “Doufur” costruiti sui resti della distrutta omonima chiesa. Poichè sto raccogliendo materiale inerente il Monastero, le sarei grata se volesse condividere ulteriori documenti e/o notizie. Grazie

    1. Buonasera Olga, grazie per aver aprezzato il mio articolo. Verifico se ho qualcosa in merito ala Monastero citato. Cordiali saluti.

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